Parri, Ferruccio (Pinerolo (TO), 1890 gennaio 19 - Roma (RM), 1981 dicembre 8)

Tipologia: Persona

Altre denominazioni: Maurizio [Nome di battaglia durante la Resistenza]

Ferruccio Parri (nome di battaglia Maurizio).
Nato a Pinerolo (Torino) il 19.1.1890, morto a Roma l’8.12.1981; professore di lettere, giornalista.
Educato agli ideali mazziniani nell’ambiente della famiglia, dopo un breve periodo di insegnamento nel 1915 fu chiamato alle armi per lo scoppio delle ostilità tra l’Italia e l’Austria. Durante il conflitto si distinse per l’eccezionale valore (quattro volte ferito sul Carso e sul Piave, guadagnò tre medaglie d’argento al valor militare e due promozioni sul campo), divenendo, anche per le doti intellettuali e la preparazione tecnica, una delle figure di spicco fra i quadri di complemento dell’Esercito.
Nel 1918 il maresciallo Armando Diaz, nuovo capo di stato maggiore dell’Esercito, lo chiamò a far parte dell’Ufficio operativo, nel quale Parri svolse mansioni di speciale responsabilità per l’apprestamento dei piani d’attacco dell’ultima fase dell’offensiva italiana. Egli fu inoltre incaricato di curare i servizi attinenti la diramazione delle notizie ufficiali dell’Alto Comando. Gli viene attribuita, fra l’altro, la stesura del testo del famoso «Bollettino della vittoria» siglato da Diaz il 4.11. 1918, all’atto della resa nemica.
Primo dopoguerra
Giornalista, redattore del «Corriere della Sera» particolarmente apprezzato dal direttore Luigi Albertini (lavoro che abbinò, per un anno e mezzo, a quello di insegnante presso il liceo «Parini» di Milano), al primo manifestarsi del fascismo Parri si schierò nelle file degli oppositori, accentuando il proprio impegno politico all’indomani della «marcia su Roma».
Di tendenze liberali avanzate, nel 1924, insieme a Riccardo Bauer, fondò a Milano il settimanale politico Il Caffè, foglio di chiara opposizione al regime, che raccolse l’opinione dei settori democratico-liberali con apertura verso idee socialiste e del cosiddetto «interventismo di sinistra» maturato durante il conflitto.
L’espatrio di Turati
Allorché, sul finire del 1925, i fratelli Albertini furono estromessi dal «Corriere della Sera» (ormai completamente asservito alle direttive del fascismo), Parri abbandonò il giornale con un gesto di netta solidarietà verso l’antica direzione e si legò sempre più agli oppositori del nuovo regime. Con Carlo Rosselli e con i socialisti, fu tra gli organizzatori dell’espatrio clandestino di Filippo Turati, la cui vita era minacciata dalla violenza squadristica.
L’impresa, nel dicembre 1926, fu coronata da successo. Portato in salvo l’anziano leader del socialismo riformista, malgrado il rischio evidente Parri e Rosselli vollero rientrare in Italia dalla Corsica e il 14 dicembre, approdati nei pressi di Marina di Carrara, furono entrambi arrestati dalla polizia. Tradotto a Milano, indi a Savona, dopo 9 mesi di detenzione Parri fu processato nel settembre 1927 con i suoi compagni di lotta.
Il fiero comportamento degli imputati trasformò le udienze del processo in un cocente atto di accusa al regime e in una dimostrazione della nobiltà ideale dell’antifascismo.
Il 12.2.1927 Parri indirizzò ai giudici una lettera di così elevata ispirazione morale nel rivendicare la giustezza del proprio operato e il valore della propria fede, da indurre Arturo Carlo Jemolo a scrivere, più tardi, che la figura di colui il quale l’aveva vergata poteva essere assimilata a quelle degli eroi risorgimentali Alessandro Poerio e Pisacane.
Al giudice fascista Parri scrisse, tra l’altro: «È in noi la certezza che la libertà e giustizia, inintelligibili e mute solo a tempi di supina servitù, ma non periture e non corruttibili perché radicate nel più intimo spirito dell’uomo, che questi due primi valori civili debbano immutabilmente sostanziare ogni sforzo di ascensione di liberazione di classi e di popolo. Nella fede di queste idee noi ci riconosciamo; nel dispregio di queste idee riconosciamo il fascismo. Signor Giudice, la legge della fazione colpendoci ci onorerà».
La lettera era una vigorosa denunzia delle ragioni di inconciliabilità tra fascismo e antifascismo sul piano morale e ideale, nonché un atto di pacata ma fremente sfida alla dittatura, che Parri ripeté nella propria deposizione durante il processo.
Tanta fermezza e l’esempio di clamorosa violazione di ogni garanzia minima di legalità da parte del regime (che gli imputati e i loro difensori seppero testimoniare), indussero i giudici a comminare pene assai inferiori al previsto: Parri fu condannato a 10 mesi di carcere con l’assegnazione al confino di polizia per 5 anni.
La lotta contro il regime
Scontata la pena detentiva e trasferito a Lipari, Parri prese parte nell’isola al piano d’evasione portato a compimento da Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti, sicché fu successivamente sottoposto nell’isola a misure di particolare rigore. Sollecitato a chiedere la grazia, alla fine del 1929 rifiutò, indirizzando al padre una lettera in cui motivava tale rifiuto con una esigenza di strenua coerenza, a qualsiasi costo, verso i propri convincimenti, il proprio onore e la propria dignità di uomo.
Messo in libertà vigilata dal gennaio 1930, tornò a Milano e continuò la lotta. ma nell’ottobre dello stesso anno fu nuovamente arrestato, con gli appartenenti al primo gruppo milanese di «Giustizia e Libertà»: Riccardo Bauer, Ernesto Rossi, Umberto Ceva e altri.
Ai genitori nel 1931 scrisse: «E sappiate anche voi avere pazienza. lo non sono inciampato per caso nelle mie disavventure politiche. Avendo agito sempre con chiarissima consapevolezza, devo adattarmi in santa pace alle conseguenze dei miei atti. Se io chiedessi clemenza e chiedessi che si consideri il mio caso e non altro, se amate la sincerità, avrei due volte torto: primo perché riconoscerei e darei il mio primo benestare alla ragione e al diritto, che contrasto pur recisamente, dei miei avversari; secondo perché nel caso mio e con i miei precedenti (sempre se vogliamo chiamare le cose col loro nome) sarebbe un atto di vigliaccheria».
Trascinato davanti al Tribunale Speciale, riconfermò in una lettera al giudice istruttore la pienezza dei suoi ideali antifascisti e ancora sfidò la magistratura a pronunziarsi sul reato d’opinione che gli veniva addebitato, affermando che non temeva il suo giudizio né avrebbe desistito dal lottare per la propria causa a costo di qualsiasi sacrificio.
Prosciolto per istruttoria, fu rinviato al confino per 5 anni. Vi rimase fino alla primavera del 1933, quando ottenne la libertà condizionata in virtù delle sue speciali benemerenze militari. Tornato a Milano, grazie all’intervento di amici come Giorgio Mortara ebbe un impiego presso l’Ufficio studi per i problemi di carattere economico statistico della Edison. Non tralasciò tuttavia i contatti con la cospirazione antifascista e nel 1942 fu denunciato dalla polizia quale presunto ispiratore di un gruppo di giovani arrestati per attività contrarie al regime. Arrestato egli stesso, ricomparve di fronte al Tribunale Speciale.
All’inizio dell’udienza, si portò fin sotto gli scranni dei giudici e, rivolto al presidente, generale Lemètre, dichiarò orgogliosamente: «Prima di rendere il mio interrogatorio, intendo di riaffermare dinnanzi a voi, giudici fascisti, la mia fede nelle idealità liberali e democratiche».
Dopo sette mesi di carcere, prosciolto da ogni accusa, tornò al proprio lavoro, intensificando i rapporti con il nucleo che s’apprestava a dar vita al Partito d’Azione.
Nella Resistenza
La caduta di Mussolini, il 25.7.1943, non recò a Parri alcuna illusione sulla piega che avrebbero preso gli avvenimenti: difatti egli sostenne immediatamente la necessità di prepararsi alla lotta armata e, nel primo convegno indetto dal Partito d’Azione a Firenze (5-7.9.1943), declinò l’invito dei compagni di entrare a far parte dell’Esecutivo nazionale e di prendere residenza a Roma. Egli preferì rimanere a Milano per dedicarsi all’organizzazione delle forze insurrezionali.
All’indomani dell’8 settembre, la sua indiscussa autorità morale, il prestigio e la competenza che gli venivano unanimemente riconosciuti da compagni e amici (anche da coloro che erano con lui in dissenso politico), ne fecero il capo di fatto del P.d’A..
Per organizzare la lotta di liberazione, Parri sosteneva l’esigenza di dar vita a un esercito popolare, non diviso in formazioni di parte e proiettato all’attacco come una grande forza armata, munita di un solido impianto unitario: queste furono le prospettive che egli illustrò anche nell’incontro avuto il 3.11.1943 a Certenago in Svizzera, con i rappresentanti degli Alleati. Nel convegno, i capi del costituendo esercito partigiano italiano misero a confronto le proprie opinioni con quelle, alquanto difformi, dei fiduciari angloamericani. Parri sollecitò lanci che consentissero alle unità partigiane di attrezzarsi in un esercito popolare, ma i rappresentanti alleati, comprendendo la pericolosità di tale progetto per i loro piani, malgrado le promesse forniranno alle formazioni aiuti in misura oltremodo scarsa e con una discriminazione a vantaggio delle formazioni di orientamento liberal-monarchico.
Nel dicembre 1943, costituitosi il primo Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia, Parri fu designato a rappresentarvi il P.d’A. in seno al Comitato militare. Da quel momento egli si batté senza tregua per ottenere, da parte dei Comandi alleati, un riconoscimento della funzione direttiva del movimento partigiano svolta dal Comitato stesso, sotto la sua responsabilità di coordinatore.
Il 19.6.1944, all’atto della trasformazione del Comitato militare del C.L.N.A.I. in Comando militare per l’Alta Italia, preposto alla guida del Corpo volontari della libertà, Parri entrò a farne parte come responsabile della Sezione operazioni, la più importante dell’organo collegiale, alla quale era preposto anche Luigi Longo, comandante generale delle Brigate Garibaldi.
Nonostante la sua iniziale contrarietà all’idea di costituire formazioni promosse dai partiti (e in questo senso egli ebbe polemiche con i compagni piemontesi del P.d’A., pronunziatisi fin dall’inizio per una trasformazione delle loro bande «Italia Libera» in Brigate «Giustizia e Libertà»), Parri fu nominato comandante in capo di queste formazioni e ne divenne l’animatore, contribuendo a conferir loro efficienza di ordinamento militare senza diminuirne la fisionomia politica.
Dopo la nomina di Raffaele Cadorna a comandante del C.V.L., Parri si impegnò nel compito di tutelare l’impronta politica del movimento partigiano nel suo complesso. Con Longo, fu irremovibile nel contrapporre, alle concezioni «apolitiche» del generale nominato dal governo Bonomi e ai tentativi di svuotare il Comando generale del C.V.L. di ogni connotato di strumento del C.L.N.A.I., una linea che esaltava invece i contenuti popolari e di rinnovamento sociale propri dell’azione partigiana.
Vicecomandante del C.V.L. insieme a Longo, dopo l’approvazione (3.11. 1944), in seno al C.L.N.A.I., di un progetto che mirava a sanare i contrasti sorti intorno al comando di Cadorna imposto dagli Alleati, Parri fu membro della delegazione del Comitato che, nel novembre-dicembre 1944, si portò a Napoli e a Roma per discutere il definitivo riconoscimento del C.L.N.A.I. e del C.V.L..
La trattativa con gli Alleati fu punteggiata di difficoltà e di ostacoli non indifferenti, per la cattiva disposizione e le riserve politiche angloamericane nei confronti del movimento partigiano. Alla fine, Parri sottoscrisse gli accordi del 7.2.1944 (Protocolli di Roma). Fu questo un traguardo importante per la sopravvivenza delle forze impegnate al Nord nella guerriglia, anche se al tempo stesso costituiva un’amara registrazione dello spirito antiresistenziale degli Alleati e del loro chiuso conservatorismo, riflettentesi poi nelle posizioni di Bonomi e della burocrazia governativa del Sud.
Prigioniero dei tedeschi
Ripreso il suo posto a Milano benché ormai ricercatissimo dai servizi di polizia tedeschi e fascisti, il 2.1.1945 «Maurizio» fu intercettato in un domicilio casuale, arrestato e affidato alla sorveglianza delle S.S. tedesche.
Fallito un tentativo di evasione ideato dall’Organizzazione «Franchi», Parri venne salvato per intervento di Allen Dulles e McCaffery.
I servizi alleati avevano infatti in corso un’intesa segreta con il generale delle S.S. Wolff, mirante a ottenere la resa delle truppe germaniche in Italia, nonché lo scambio di alti ufficiali nazisti con prigionieri in mano tedesca, e il tutto all’insaputa delle gerarchie fasciste della repubblica di Salò.
Condotto in Svizzera dai tedeschi, poté rientrare a Milano in tempo per assistere all’epilogo dell’insurrezione vittoriosa.
Capo del governo
Nominato il 21.6.1945 presidente del Consiglio dei ministri, Parri fu alla testa del primo governo dell’Italia liberata, espressione del C.L.N.. Egli si sobbarcò quindi la impegnativa incombenza di provvedere alle sorti di un paese che usciva stremato dalla guerra, colmo di rovine e di lutti, in dissesto pauroso dopo il ventennio mussoliniano e le sue folli avventure belliche.
In un discorso a Milano, pochi giorni dopo la nomina a presidente del Consiglio. dirà: «Per la nostra generazione non c’è congedo. Ed allora sotto ancora: ieri contro la mala genìa fascista e nazista, oggi contro il disfacimento materiale e morale che ci ha lasciato in eredità il regime di Mussolini, per la salvezza del nostro paese».
La coalizione ciellenistica, d’altro canto, era già profondamente scossa dalle manovre dell’ala moderata e conservatrice democristiana e liberale, oltreché insidiata da un furibondo ritorno delle forze compromesse col fascismo, le quali trovavano facile udienza e appoggio negli Alleati.
In quella drammatica situazione, la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi e il Partito liberale svilupparono la loro azione per un deciso spostamento a destra dell’equilibrio economico e politico del paese e per affossare l’unità del C.L.N..
In lunghi mesi di aggrovigliati giochi, l’operazione restauratrice di un assetto prefascista logorò la compagine governativa, la paralizzò e finì col dissolverla, mentre Parri si esauriva in un vano e per molti versi ingenuo sforzo di conciliare le spinte centrifughe esistenti nella compagine governativa, e di commisurare l’azione di questa almeno alle necessità più impellenti provenienti dalla realtà italiana.
Il 23.11.1945 il presidente del Consiglio rassegnò le dimissioni, ormai bersagliato dalla congiunta azione della D.C. e del P.L.I., deliberati a condurre in porto una svolta moderata con accentuate componenti conservatrici.
Gli anni del dopoguerra
Schieratosi all’interno del P.d’A. sulle posizioni di democraticismo razionalizzatore di Ugo La Malfa e della sua corrente, al I Congresso nazionale del partito (Roma, 4-8.2.1946), con quest’ala destra Parri abbandonò la compagine «azionista» e diede vita al Movimento Repubblicano Democratico. Questo ebbe però vita breve e stentata, per confluire infine nel Partito Repubblicano Italiano.
In seguito Parri uscì dal P.R.l. e fondò il movimento di Unità Popolare. Con questo, nelle elezioni politiche del 1953 contribuì al fallimento della cosiddetta «legge truffa» escogitata dalla D.C. per assicurarsi, in caso di flessione dei consensi, una rappresentanza parlamentare invariata rispetto alla precedente.
Confluita poi Unità Popolare nel P.S.l., Parri fu candidato indipendente nelle liste di questo stesso partito per il collegio senatoriale di Novara nelle elezioni del 1958, risultando eletto.
Il 2.3.1963, in riconoscimento dei suoi alti meriti, fu nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica. Nel Senato, entrò a far parte del Gruppo della Sinistra Indipendente, divenendone presidente, carica che mantenne fino alla morte.
All’attività parlamentare, Parri affiancò sempre una intensa presenza nella vita democratica del paese, come presidente della Federazione Italiana Associazioni Partigiane, della Associazione per i rapporti Italia-Cina e, dal 1967 al 1972, del Comitato di solidarietà con la resistenza greca.
Attivissimo anche in campo pubblicistico, soprattutto con saggi e studi di politica ed economia internazionale, nel 1963 fondò il quindicinale L'Astrolabio che continua tuttora le pubblicazioni.
Bibliografia: Ferruccio Parri, Scritti 1915-1975, a cura di Enzo Collotti, Giorgio Flochat, G. Solaro Pellazza e P. Speciale, Ed. Feltrinelli, 1976; L'Astrolabio, numero 24 del 19.12.1981, con vari contributi dedicati a F.P..
M.Gi. (Mario Giovana) in “Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza”, ed. La Pietra-Walk Over, 1984, vol. IV, pp. 424-427

Complessi archivistici

Collegamenti